Comunicare Gramsci
di Guido Liguori
Nino: appunti per Antonio Gramsci 1937-2007 (a cura di Roberto Rampi, Milano, Infoarte,
pp. 132) non è un libro come un altro. Nel senso che è solo
il pezzo di un progetto culturale che comprende anche un sito (www.gramsci2007.it), uno spettacolo
teatrale, una mostra. Per dirla in breve, è il prodotto di una idea generosa che diventa realtà: un gruppo di trentenni
(gli ideatori sono Roberto Rampi, Marta Galli ed Elena Lah,
che ricoprono nel progetto anche altri svariati ruoli: fund raiser, produzione, art director, recitazione...) si pongono il problema del “che
fare”, in vista del settantesimo anniversario della morte del comunista sardo,
per veicolare la sua conoscenza in modo che raggiunga platee soprattutto
giovanili non facilmente raggiungibili con i linguaggi tradizionali. Ed elaborano un progetto culturale imperniato su due
pilastri: una commedia e una linea grafica, entrambi di forte impatto, che si
riverberano tanto nel libro che nel sito in questione che in altri materiali (in
primo luogo la mostra), dai quali chi si propone di diffondere la conoscenza di
Gramsci ha probabilmente qualcosa da imparare.
Intendiamoci, il libro contiene
anche una serie di testimonianze interessanti, da Giorgio Napolitano
a Beppe Vacca, da Edoardo Sanguineti a Giulio Giorello, da Giorgio Gaslini a Ernesto Treccani ad altri ancora
(rimandiamo alla Bibliografia gramsciana - secondo semestre 2007 di questo sito,
prossimamente on line). Ma il cuore del volume sono i materiali più direttamente
legati al progetto e dunque la riflessione – perché di questo in fondo si
tratta – su come comunicare Gramsci oggi, in modi nuovi e non scontati. «Ciò che in
questa sede ci interessa indagare [...] – scrive Rampi
– è il punto di vista della comunicazione e, nello specifico, della
comunicazione di massa [...] A noi interessa delineare il campo della riflessione per capire cosa è
successo ad una figura, cioè a un segno così denso di significati come è per il
‘900 il segno [Antonio Gramsci]». La risposta è che
dietro l’icona vi è in realtà un relativo vuoto di significati. Il che appare oggi vero. Come è almeno
in parte vero che è «l’immaginario che cambia il mondo», anche se forse è
troppo semplicistico affermare che «occorre costruire un immaginario, un’idea
di mondo che abbia la forza di poter essere semplificata in poche immagini».
Se è vero che sotto il segno niente (o quasi), c’è da
chiedersi cosa possa superare questo vuoto. Elena Lah giustamente
annota a proposito di Guevara: «è diventato il
rappresentante del giovane che vuol cambiare il mondo e ci riesce»,
ma «la sua immagine ha anche perso connotazione politica, è diventato un
assoluto, un eroe». E dunque? Non si corre questo
rischio anche con Gramsci, qualora si riuscisse (cosa certo non scontata) – a popolarizzarne l’immagine producendo magliette,
manifesti, raffifurazioni sia pure cromaticamente
fucsia e viola, come fa Lah nella bellissima linea
grafica proposta?
Le risposte, sul campo, non sono
facili. Gli accenni, che troviamo nel libro, al neorealismo e alla pop art non
si combinano facilmente. E Gramsci ha prodotto, lo
sappiamo, tutta una riflessione sulla cultura popolare che non è facile volgere
in prassi quando si cerca di fare: tanto più oggi, quando la cultura e la comunicazione di massa
sono radicalmente cambiati e rischiano di fagocitare ogni spazio per la
riflessione, individuale e collettiva.
Bisogna dire che il testo
teatrale Cena con Gramsci
di Davide Daolmi è senz’altro un tentativo valido
nella direzione di un Gramsci che torna sulla scena in modi nuovi: un atto unico denso
e ricco, che se nella scrittura può sembrare a tratti non
facilmente fruibile, ma che visto rappresentato – anche grazie
all’ottimo lavoro del regista Andrea Lisco e degli
attori tutti – appare invece veloce, godibile, divertente, ma insieme non
banale e anche spiazzante, come forse
non sarebbe dispiaciuto al Gramsci ammiratore dei
futuristi e del primo Pirandello (anche se la
presenza che più si avverte qui è quella di Pasolini
e delle sue Ceneri). Forse perché non viene
rappresentato Gramsci, la sua scrittura, le sue
lettere, la sua biografia, come tante volte si è fatto, ma uno studente, un
giovane dei nostri giorni alle prese con una tesi su Gramsci,
con il suo fantasma, con il suo
fascino, con i personaggi di una storia lontana che fanno fatica a emergere
oggi, ma che alla fine non saranno più solo figurine...
La conclusione del giovane tesista è che per rendere omaggio a Gramsci
non basta una tesi, non basta studiare, è necessario agire, fare qualcosa. È una lezione non banale, se si va al di là della trovata scenica ideata dall’autore (una cena, simbolo questo sì un po’ vecchio e
ridondante) e si assume la necessità tutta politica
di tramutare le emozioni, i sentimenti, le immagini, i miti in una prassi
collettiva organizzata. Ma un finale così esplicito
sarebbe sembrato altrettanto retorico di quello ideato...
Sarebbe comunque
bello e utile che questo spettacolo girasse la penisola e che le istituzioni
culturali e scolastiche non perdessero questa occasione per aiutarne la
rappresentazione.